L’Europa e la Cina, o la Cina e l’Europa?
DI SILVIA PANINI
10/11/2020
La Terra del Dragone non rappresenta più una meta esotica e lontana - geograficamente e culturalmente; Pechino è oggi l’attore principale dello scacchiere internazionale. L’intero continente asiatico sta girando i mappamondi verso di sé: come siamo arrivati a questo risultato, e che implicazione ha questo per l’assetto globale? Ne parliamo con due ospiti dell’Hikma Summit of International Relations, il politologo indo americano Parag Khanna e l’ambasciatore italiano in Cina Luca Ferrari.
Sempre più sentiamo parlare di Cina in Europa e Cina e Stati Uniti. Pechino si sta voltando ad ovest?
Parag Khanna: L’apertura di Pechino verso il resto del mondo non è una nuova moda. I rapporti Cina – USA sono iniziati con l’amministrazione Nixon ed è dall’epoca di Deng Xiaoping che la Cina ha ufficialmente aperto le porte alle relazioni, non solo commerciali, con l’Occidente - l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 ne fu un simbolo potente. Tuttavia, non dobbiamo pensare che gli interessi di Pechino siano basati su Washington e Bruxelles: il vero continente in cui farsi sentire è l’Asia. I motivi sono tanti e il primo è abbastanza semplice: l’Asia conta più della metà della popolazione e dell’economia mondiali. Dobbiamo poi analizzare un trend recente: la globalizzazione viene gradualmente sostituita dalla regionalizzazione. Possiamo notare una tendenza alla chiusura da parte degli Stati Uniti (non imputabile al solo Trump ma ben più lontana); inoltre gli stati europei commerciano per il 70% all’interno della loro Unione; infine è così anche il commercio degli asiatici in Asia, che sta nettamente aumentando (oggi copre il 60% del loro totale). È per questo che dobbiamo fare attenzione se parliamo di una “svolta ad Occidente di Pechino”: prima occorre ricordare che l’Asia rimane il suo vero primo obiettivo. È anche per questo che, nonostante esistano forti tensioni geopolitiche nel continente e siano ben visibili, queste non sfociano mai in vere guerre: sarebbe distruttivo per gli interessi economici di ogni Stato della regione.
Da una simile convergenza di interessi potrebbe nascere un’Unione a somiglianza di quella Europea?
Parag Khanna: No, non credo. Parliamo di un’area molto più vasta e che non ha radici compatibili in ogni Paese. Ma potrebbero sviluppare una cultura strategica comune e decidere di agire in maniera strutturata e questo potrebbe a vantaggi commerciali ma anche di immagine internazionale. D’altronde, anche l’UE è nata dagli interessi economici e ancora oggi fa fatica a staccarsene, vedete quanta fatica si fa a realizzare un esercito comune…
Noi Europei, abbiamo una posizione congiunta nei confronti di Pechino?
Luca Ferrari: Eccome! Chiaramente ogni stato membro dell’Unione ha i suoi rapporti bilaterali, e proprio perché queste relazioni sono così differenti tra nazioni europee (l’Italia ha certamente più contatti della Svezia con Pechino) è fondamentale avere una posizione comune. Potremmo riassumerla con il termine “active engagement”: noi e la Cina siamo concorrenti, né rivali né amici, ma ci riconosciamo e rispettiamo a vicenda. Apparteniamo a due campi valoriali completamente distinti – basti pensare alla concezione di diritti per loro e per noi - e proprio perché siamo così diversi, in questo gioco occorre rispettare le stesse regole di diritto internazionale e rimanere aperti al dialogo, due presupposti nei quali l’UE crede fermamente e che quindi pone come condizioni necessarie in ogni rapporto commerciale. Il nostro notevole peso economico ci permette di fare pressione e ottenerne il rispetto, come si è visto con la promessa cinese di fronte all’ONU di decarbonizzarsi completamente entro il 2060: questa decisione è stata presa per adeguarsi al recente spirito “green” della comunità internazionale e restare così al passo con gli altri attori.
Restare al passo? La Cina sembra sempre più avanti di tutti gli altri…
Luca Ferrari: Per molto tempo non è stato così, fino almeno all’apertura di Deng al “socialismo cinese di mercato”: oggi la Cina rappresenta il 20% dell’economia globale e nell’arco di un decennio potrebbe aumentare questa percentuale al 33% - un terzo del mondo: a ragione Pechino si considera – e vuole essere considerata – una potenza regionale e globale. L’ascesa della Cina è effettivamente il più grande cambiamento geopolitico dal secondo dopoguerra e rappresenta la più importante sfida del mondo attuale. E Pechino ha infine raggiunto il suo scopo perché attualmente nessuno può lasciare inascoltati i suoi interessi.
Anche se la cosiddetta “diplomazia delle mascherine” che la Cina ha compiuto in Europa durante la prima ondata di COVID-19 non ha funzionato così bene…
Parag Khanna: La reazione scettica degli Stati europei è, secondo me, un passo positivo verso una nuova posizione dell’Unione nei confronti di Pechino. Un’Europa cinica, io credo, è un’Europa migliore, più forte e strutturata: l’attuale situazione – per la quale gli Europei si sono accorti dell’influenza cinese nel loro continente, e stanno cercando di arginarla - non deve essere vista solamente come una sfida ma anche come un’occasione di accrescere il ruolo internazionale dell’Europa, di accorgersi finalmente di non essere più il centro del mondo ma di poterne comunque influenzare l’equilibrio, e quindi di avere non solo l’opportunità ma soprattutto la responsabilità di parlare ed agire come un attore internazionale. In geopolitica non c’è posto per l’ingenuità, e credo che finalmente Bruxelles se ne stia accorgendo.
Luca Ferrari: E comunque, mascherine pubblicizzate come regali o no, l’UE ha già una precisa collocazione sullo scacchiere internazionale, ed è una posizione transatlantica ed occidentale senza dubbio. Ma è nell’interesse di tutti che l’UE non si debba trovare nella difficile condizione di dover scegliere tra un lato e l’altro, tra Asia ed America, come se fossimo in un ordine bipolare alla “guerra fredda” – un termine abusato da Mike Pompeo nell’ultimo anno. Di simile al secondo dopoguerra c’è il rischio di perdere peso in aree strategiche: questo è tornato a farsi sentire soprattutto in aree come Africa e Balcani, dove nel passato le potenze occidentali hanno mancato in sostegno allo sviluppo e quindi ora la Cina sta sostituendo con aiuti economici e finanziari. Pur di contrastarla, riuscirà l’UE a far valere la sua voce in campo internazionale?