Bentrovato Presidente
DI MICHELE DANESI
09/12/2021
È da ormai un mese che è stato eletto in Giappone un nuovo governo, sempre sotto la guida del partito liberaldemocratico di Fumio Kishida, che si vede confermare il mandato che aveva ottenuto temporaneamente dopo aver preso il posto di Suga a capo del partito. Il suo compito è arduo: risollevare i consensi e dare una nuova spinta al Paese nel post-pandemia.
Tokyo ha un nuovo Primo Ministro: il partito di Kishida vince le elezioni e il suo governo rimane in carica.
Con qualche annata buona ma senza grandi trofei, ci si può aspettare che un allenatore molli la squadra – anche se un tifoso spera che lo faccia con stile. Se quello che prende il suo posto è sotto sotto un tappabuchi, un flop immediato è praticamente obbligatorio. È lì che poi viene il bello: o arriva un asso, che raccoglie i cocci e ci fa una fioriera per adornare il salotto, oppure arriva un due di bastoni che dà il colpo di grazia alla squadra fra capo e collo. Ogni riferimento all’ultimo quinquennio della nazionale italiana di calcio è puramente casuale: qua si sta parlando di tre premier giapponesi in rapida sequenza, tutti alle prese con un Paese che deve risolvere crisi, malumori, depressione e una sensazione di vuoto di potere che lascia permeare all’esterno.
Da una solida maggioranza di governo derivano grandi responsabilità.Fumio Kishida vince le elezioni generali di fine ottobre, con qualche seggio di meno ma con un terreno un po’ più solido sotto i piedi per dare il via al suo mandato. Ad un mese dalla nomina a leader del partito liberaldemocratico “ufficializza” il ruolo di premier posato, lungimirante e amante del multilateralismo che abbiamo visto per tutto ottobre. Il principale occhio di riguardo è per la società post-pandemia: miglioriamo il welfare, aumentiamo l’assistenza, riformiamo il settore pubblico e forse migliorerà la delicata questione “forbice sociale” che tante gatte da pelare ha dato (o avrebbe dovuto dare) ai vecchi governi. Speriamo.
Un’eredità di un incerto peso. Ricordiamo Abe Shinzo per per la sua ricetta che spinse un po’ più a destra un partito che è conservatore per definizione. Trecento grammi di riforme economiche espansive, per rafforzare il ceto medio. Cento grammi di voce grossa con tutti gli altri leader asiatici, da setacciare e mescolare con altri cento di amicizia con Trump. Liquefare duecento grammi di aumento della spesa per il settore difesa e reinterpretazione della costituzione (ex-)pacifista. Versare in una teglia e condire con una manciata di visite al tempio di Yasukuni, dove sono sepolti militari che hanno partecipato all’invasione dell’Asia orientale (che per i Paesi vicini sono criminali di guerra). La torta uscita è quantomeno strana, provocatoria, dalla consistenza robusta e dal gusto molto deciso, con punte di amarognolo – stucchevoli per alcuni.
Breve ma intenso. Quando Abe ha lasciato lo scorso anno – tra scandali, qualche accusa di frode e una malattia intestinale – in forno ci è finito il suo secondo Suga Yoshihide. Una leadership un po’ meno sui generis, la sua, se non fosse per il covid e per una delle edizioni delle Olimpiadi più discusse di sempre. Solo questi due “piccoli” inconvenienti hanno pesato più di tutto il resto: i consensi sono crollati, mentre malumori generali e lamentele hanno toccato i massimi storici. È così che il numero due di Tokyo è finito a non ricandidarsi per le primarie di partito di ottobre.
Il personaggio: figlio d’arte di un figlio d’arte. Kishida nasce in una famiglia di politici di alto livello: il padre e un cugino avevano lavorato al Ministero dell’Economia e il nonno, che, come gli altri due, aveva servito alla Camera dei Rappresentanti della Dieta Nazionale (il Parlamento di Tokyo), era stato fin dal dopoguerra un fervente critico della linea pacifista della nuova costituzione e un sostenitore della necessità di indipendenza militare. Il premier porta anche un’altra grande ombra sulle spalle: la famiglia era originaria di Hiroshima, dove tornava ogni anno, e diversi furono i parenti persi nel bombardamento dell’agosto del 1945: questa cicatrice, che brucia nella memoria storica di più di una generazione, fa da sfondo ai racconti dei superstiti con cui Kishida cresce.
Studia alla Waseda University, quella di Murakami Haruki e di una schiera di CEO e Presidenti di compagnie (da Nintendo a Sony, da Toshiba a Honda e Mitsubishi), da cui si laurea nel 1982 per entrare alla Long-Term Credit Bank of Japan. Undici anni dopo arriva la sua prima elezione alla Camera dei rappresentanti, dove inizia una carriera passata in gran parte in commissioni minori. “Mentre Abe, eletto per la prima volta nello stesso anno di Kishida” – scrive Foreign Policy in un articolo sull’elezione del premier (“Fumio Kishida’s principles are about to be put to the test”, 4 ottobre 2021) – “rincorse gli alti ranghi del LDP, Kishida lavorò ai fianchi, militando come leader di gruppi minori del partito e ricevendo il suo primo incarico all’esecutivo negli ultimi giorni del primo governo Abe nel 2007”.
La sua esperienza da Ministro continua poi fino ad arrivare agli Esteri nel 2012, affermandosi dunque come protagonista attivo della svolta di Abe nelle politiche di sicurezza e nel confronto aspro con Pechino, basi su cui ha poggiato la sua campagna a leader del LDP contro Taro Kono, suo successore al Ministero degli Esteri nel 2017.
Il fatto: la vittoria del LDP. Sono 261 i seggi conquistati dal partito liberaldemocratico, l’esatto numero che è stimato essere necessario per avere la maggioranza assoluta e stabile, come la chiamano i media. Sono quindici in meno delle elezioni precedenti, ma a questi vanno aggiunti i trentadue guadagnati da Komeito, il partito di centro d’ispirazione buddhista laicale e affermato partner della coalizione. Il fenomeno da notare, tuttavia, è il Partito d’Innovazione Giapponese (JIP): mentre da destra a sinistra tutti perdono seggi (il Komeito è l’unico altro a guadagnare, ma si limita a tre), il JIP riesce a triplicare i suoi posti alla Camera dei Rappresentanti e diventare così il terzo partito del Paese dopo il LDP e il Partito Costituzionale Democratico. La loro opposizione è decisa e sistematica, radicata nelle azioni intraprese nel corso della loro precedente direzione della Prefettura di Okinawa: individuano nella leadership di governo una mancanza di attenzione verso le tematiche di innovazione e transizione a favore di misure economiche poco lungimiranti e politiche di sicurezza sempre più ambiziose.
L’approfondimento: il sistema elettorale giapponese. La Dieta Nazionale, ovvero il Parlamento giapponese, comprende una Camera dei Rappresentanti e una dei Consiglieri, i cui membri vengono eletti rispettivamente ogni quattro e sei anni. Al palazzo a Nagatachi (Tokyo), dove ha sede la Dieta, si riuniscono dunque in totale 717 politici nominati con un doppio sistema elettorale. I 495 della Camera dei Rappresentanti, l’ultima ad essere andata al voto, sono così ripartiti: ognuna delle 295 circoscrizioni in cui è diviso il territorio nipponico elegge, tramite votazione diretta e uninominale, un suo rappresentante politico; i restanti 180 seggi sono stabiliti su base maggioritaria in base ai voti ricevuti dai partiti in corsa su una scheda elettorale a parte, diversa da quella in cui si vota uninominalmente il candidato della propria circoscrizione. In maniera simile si svolgono anche le elezioni per i 242 Consiglieri, in cui si vota uninominalmente nelle 146 prefetture, mentre i 96 posti rimasti vengono assegnati in maniera proporzionale su scala nazionale.
Il mandato è appena iniziato, il primo test si baserà sui risultati nell’immediato delle riforme sociali post-pandemia e lo vedremo con le elezioni di metà mandato della Camera dei Consiglieri. Nel frattempo, vediamo cosa metterà in campo la formazione del coach Kishida per risollevarsi dalle ultime annate difficili. E chissà, persino la nazionale italiana della nostra metafora iniziale ha portato a casa gli Europei, in qualche modo.