Lo strano caso dell’occupazione di Guernica, Buenos Aires
DI CARLO TOSI
07/12/2020
La maxi-occupazione di Guernica, a Buenos Aires, ha rappresentato per molti una speranza e una soluzione alla continua crisi economica Argentina. Per questo lo sgombero del 29 ottobre è stato un colpo al cuore per la classe meno abbiente della capitale.
La maxi-occupazione di Guernica, a Buenos Aires, ha rappresentato per molti una speranza e una soluzione alla continua crisi economica Argentina. Per questo lo sgombero del 29 ottobre è stato un colpo al cuore per la classe meno abbiente della capitale.
Guernica è un piccolo comune a Sud di Buenos Aires che fa parte della città metropolitana della capitale. La cittadina, non abituata alla ribalta mediatica, è ora al centro di servizi televisivi e articoli e giornali. Dallo scorso luglio infatti migliaia di persone si sono accampate in un terreno di 100 ettari all’interno del comune. Da quel momento l’occupazione si è ingrandita fino a diventare la più grande di tutta l’Argentina.
Secondo il censimento effettuato dal governo all’interno del campo si trovavano, fino al 29 ottobre, 1904 persone, ma secondo le Ong che hanno lavorato sul posto erano presenti almeno 3500 persone.
L’occupazione è nata nel luglio di quest’anno a causa dell’impennata di povertà nella provincia di Buenos Aires. Secondo l’INDEC argentino, nei primi 6 mesi del 2020 circa il 40% degli argentini si trovava in condizioni di povertà. Di questi il 10,5% era indigente. Realtà che peggiora ulteriormente nella città metropolitana di Buenos Aires, dove il 47,5% della popolazione non supera oggi la soglia di povertà.
Nata e sviluppatasi grazie al passa parola, l’occupazione è conseguenza della tragica situazione economica dell’Argentina. Un paese che solo lo scorso maggio ha dichiarato il nono default della sua storia. Il costo di una stanza nella periferia sud di Buenos Aires si attesta sui 9 mila pesos, mentre il reddito familiare di emergenza è di 10 mila pesos.
L’occupazione di Guernica ha rappresentato, soprattutto per la sinistra argentina, un esempio. Gli occupanti, attraverso l’aiuto di svariate organizzazioni di volontariato, hanno realizzato una struttura politica e di controllo del terreno. A causa del distanziamento necessario tra persone, il campo è stato diviso in lotti uguali, delimitati da corde e cavi. Per ogni isolato sono stati eletti un delegato e un vice. In più sono state create assemblee di quartiere, che a cadenza settimanale si sono riunite per amministrare l’occupazione.
All’interno dei lotti sorgevano, un po’ in ordine sparso, abitazioni grossolane e costruite in modo sbrigativo. Quattro pali, pareti di nylon e tetto in eternit, così era assemblata la maggior parte dei rifugi. Gli spazi interni erano molto ristretti, spesso limitati a dei soli materassi. L’elettricità arrivava dai quartieri vicini, e non tutti potevano permettersela.
Per tanti tuttavia queste costruzioni traballanti hanno rappresentato un domicilio, un ancora di salvezza e stabilità in un momento in cui il futuro appariva cupo.
Lo scorso ottobre è arrivata la prima minaccia per il campo. Secondo le autorità locali infatti l’occupazione era abusiva. La Bellaco Spa, azienda edile che in passato si è occupata della costruzione di quartieri nella zona, ha rivendicato la proprietà dei 100 ettari di terreno.
Non solo, a ottobre sono iniziati anche i primi episodi di violenza e discriminazione verso gli occupanti. Sebbene il giudice avesse rinviato lo sgombero del campo a data da destinarsi, gli abitanti dei quartieri adiacenti hanno deciso di isolarlo costruendo recinzioni di filo spinato. Anche le forze dell’ordine hanno contribuito, ostacolando entrate e uscite dal campo, soprattutto alle organizzazioni sociali.
Lo scorso 29 ottobre occupanti e Ong si sono dovuti arrendere. Più di 4000 agenti hanno evacuato l’accampamento di Guernica. Nelle settimane passate diverse famiglie avevano tentato la via della diplomazia. Alcune erano riuscite a trovare, attraverso accordi con l’amministrazione locale, altre opportunità abitative. La maggioranza degli occupanti però non è riuscito a scendere a patti.
Molti si sono opposti con forza allo sfratto. Alla fine della giornata sono state arrestate 30 persone e altre 25 sono rimaste ferite. Sergio Berni, ministro alla sicurezza della provincia di Buenos Aires, già a settembre aveva affermato la volontà di sfollare il terreno e di avere «tolleranza zero» nei confronti delle occupazioni.
Per il neo-presidente Alberto Fernández il caso Guernica ha rappresentato un colpo d’arresto. Il presidente peronista si è sempre schierato dalla parte dei meno abbienti. Lo sgombero, avvenuto violentemente, stona con la sua narrazione. Proteste e appelli sono quindi sorti nei giorni successivi per mettere in evidenza la grave emergenza abitativa dell’Argentina.