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Da democrazia ad autocrazia: una guida pratica

DI GIANMARCO VILLANI

27/04/2024

Come si può giustificare il declino dello stato della democrazia a livello mondiale? È un trend, un movimento organizzato, una coincidenza, o un sintomo? Alla fine del secolo scorso ci eravamo promessi che la democrazia che abbiamo instaurato sarebbe rimasta forte ancora per molto. Vediamo come è stato possibile infrangere questa promessa in così pochi decenni.

Il 2024 è il diciottesimo anno consecutivo in cui l’organizzazione Freedom House segnala un calo delle libertà politiche globali. Nel solo mese di marzo, gli stati che hanno visto un peggioramento degli indici di democrazia (relativo a ciascun paese) sono ventidue, tra cui Haiti, Israele e l’Argentina. Un dato importante rispetto al peggioramento in corso dello stato della democrazia è che, al contrario degli esempi del passato, la riduzione delle libertà politiche e dei diritti civili sembra passare attraverso le istituzioni democratiche degli Stati che le implementano. È possibile sfruttare l’impostazione democratica di un sistema politico per mettere in discussione i principi che l’hanno fondata? Per rispondere a questa domanda, può essere utile osservare degli esempi pratici di democrazie che hanno visto una compressione delle libertà politiche dovute proprio all’assetto democratico che in passato le ha garantite.


La compressione dei diritti civili si inserisce in un contesto politico in cui il dibattito pubblico è sempre più polarizzato. La radicalizzazione delle posizioni politiche è arrivata al punto di mettere in discussione diritti civili e conquiste sociali ottenute anche nel secolo scorso. Negli Stati Uniti, ad esempio, il presidente repubblicano Donald Trump ha nominato come giudici della Corte Suprema tre giuristi di orientamento politico conservatore. A seguito di queste nomine, la Corte ha annullato una sentenza del 1973, la Roe v. Wade, che garantiva il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale, delegando la legiferazione in merito ai singoli stati federati; di questi, 14 hanno reso l’interruzione volontaria di gravidanza illegale.


Un altro strumento utile per minare la tenuta democratica di un paese è il dubbio. Instaurare nella popolazione, a partire dal proprio elettorato, il sospetto che il proprio sistema politico sia antidemocratico, o comunque mettere in dubbio l’integrità e la trasparenza dello stato, è una strategia necessaria per desensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto delle istituzioni. Un assetto democratico in cui i cittadini non hanno fiducia è molto più facile da smantellare rispetto ad un sistema percepito come affidabile. Per questo motivo, spesso, i leader politici che vengono indicati in svantaggio  dai pronostici elettorali cominciano a mettere in dubbio la veridicità dei risultati delle elezioni prima ancora che queste avvengano. “Prevedere” la sconfitta ha vari effetti positivi. In primo luogo, radicalizza l’elettorato e lo mobilita al voto. In questo modo è più facile ribaltarne il pronostico, specialmente quando lo scarto è molto risicato. Se questo non bastasse a cambiare le sorti delle elezioni, aver pronosticato la sconfitta dà attendibilità al candidato perdente, che quindi risulta credibile anche quando insinua che il risultato è manipolato da poteri cospiratori. A questo punto, si può fare leva su questo sentimento di sfiducia per portare i cittadini a disconoscere il potere o addirittura attaccarlo.


Negli ultimi tre anni si sono verificati due tentativi di colpo di stato in favore di un presidente uscente che è stato sconfitto nelle elezioni alla fine del mandato: il 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti a favore di Trump, e l’8 gennaio 2022 in Brasile a favore di Jair Bolsonaro. Secondo le ricostruzioni successive, entrambi i candidati erano al corrente dei piani di attentato alle istituzioni pubbliche. Trump è tuttora sottoposto a procedimenti penali in relazione ai crimini commessi durante e alla fine del suo mandato, così come lo è Bolsonaro. In particolare, secondo il Correio Brazilense, sono recentemente usciti dei video che mostrerebbero l’ex presidente brasiliano mentre discute del golpe con alcuni ministri. Non sorprende, dunque, che a distanza di anni i supporter dei due ex Capi di Stato continuino a sostenere la legittimità dei tentati attacchi. Il supporto incrollabile del proprio elettorato è la conseguenza di una strategia comunicativa per la quale qualsiasi evento, scandalo, notizia, non fa che confermare la veridicità delle parole del leader. Il contrasto tra le proprie posizioni anti-establishment e l’assetto democratico del proprio sistema politico dà l’impressione di essere un underdog, qualcuno che viene sistematicamente ostracizzato dal “sistema”. Questo marketing, se usato bene, diventa un motore che trasforma qualsiasi critica in consenso.


Il target demografico più importante a cui mirare per la riuscita di questa strategia comunicativa sono sicuramente le fasce più giovani della popolazione, in particolare gli studenti. Storicamente i movimenti politici studenteschi hanno dimostrato di poter dare vita un cambiamento profondo e strutturale della loro società. Spesso i giovani tendono ad essere più liberali e progressisti generazioni precedenti, il che rende difficile conquistare il loro supporto per un progetto politico non democratico. Un esempio in cui ciò è stato possibile è la società israeliana. Nelle generazioni israeliane più giovani si osserva una tendenza contraria a quella globale: la maggior parte si identificano politicamente nei partiti più di destra della Knesset. Il sito Vox ha condotto delle interviste a dei giovani cittadini israeliani che testimoniano l’esclusione della voce palestinese dalla cultura politica in cui sono cresciuti, e sia in passato che oggi chiunque faccia qualsiasi concessione politica ai palestinesi viene accusato dalla destra di essere un traditore del popolo ebraico. “Cresciamo credendo che l’estremismo sia normalità”. In questo modo, i partiti estremisti prendono il controllo delle istituzioni legislative e governative, e sfruttano il loro potere (ottenuto democraticamente) per comprimere le libertà democratiche del loro stato. Non è un caso che alla polarizzazione estrema del dibattito pubblico corrisponda un calo degli indici di democrazia e diritti civili, in Israele come in Brasile, negli USA, e in moltissimi altri contesti politici che hanno visto un fenomeno simile.


Il caso israeliano, però, ci fornisce anche un esempio di come questo processo di radicalizzazione possa diventare più dannoso che benefico. Secondo la politologa statunitense Phyllis Bennis, lo shift verso destra dell’asse politico dello stato ebraico ha portato il partito Likud a vedere minacciata la sua egemonia politica, quasi ininterrotta dal 2003, non dall’ala sinistra dell’emiciclo parlamentare, ma dalle frange più estremiste alla sua destra. Lo sdoganamento delle idee iper-conservatrici, l’espansione del sentimento antiarabo e la centralità del giudaismo nella politica hanno aperto la strada ai partiti di estrema destra, come Mafdal – Sionismo Religioso, che avanzano idee razziste ed omofobiche che ben si adattano alla cultura politica sionista sviluppatasi in Israele negli ultimi decenni. Una volta messo in moto un processo di polarizzazione politica e culturale della società, c’è il rischio che si crei un nuovo spazio nelle aree più estreme dello spettro politico, e che questo spazio dia luogo alla nascita di nuovi partiti sempre più radicali. Anche negli Stati Uniti, dove il sistema partitico è stato composto dalle stesse due forze negli ultimi secoli, il Partito Repubblicano ha visto un progressivo scivolamento verso l’estrema destra di molte delle sue posizioni. Una volta imparato come scardinare una democrazia passando attraverso i suoi sistemi, rimane da capire come arrestare ed invertire questo processo. Questa sarà verosimilmente la sfida del prossimo decennio.

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