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L’Italia nel Mediterraneo
e in Medio Oriente, tra multilateralismo e bilateralismo

DI ALICE CARNEVALI

02/03/2020

Analisi e prospettive della politica estera italiana tra il Mediterraneo ed il Medio Oriente. Quali sfide sono state affrontate in passato? Quali strategie saranno adottate nel nuovo decennio?

Sin dai tempi dell’Impero Romano, le aree mediterranee e mediorientali rappresentano un bacino di sfide ed opportunità per la politica estera italiana. La posizione geografica al centro del Mare Nostrum e gli oltre 7000 chilometri di costa del nostro Paese rendono indispensabile uno sguardo oltre i confini terrestri del continente europeo per motivi strategici e identitari.

Un concetto ben compreso dall’Italia repubblicana, nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale in un contesto di forte tensione internazionale. Nonostante l’appartenenza al blocco occidentale, la politica estera adottata da Alcide de Gasperi e dai successivi governi democristiani e socialisti dimostrò un forte interesse per i Paesi mediterranei e mediorientali, tanto da essere considerata filoaraba. Ad esempio, l’Italia palesò sostegno alla causa indipendentista dei Paesi africani che, come l’Algeria, erano ancora sotto dominazione straniera. Inoltre, data la ricchezza di risorse energetiche delle regioni affacciate sul Mediterraneo e sul Golfo Persico, l’Italia intensificò con esse le relazioni commerciali basandole su una spartizione equa del petrolio. Infine, dalla Guerra dei sei giorni (1967) fino alla prima Guerra del Golfo (1990), l’Italia si pose come interlocutore tra Israele e OLP, manifestando un forte sostegno alla causa araba.

Dunque, durante gli anni della I Repubblica, la politica estera del nostro Paese pose come priorità la gestione degli equilibri nelle aree mediterranee e mediorientali, interpretandoli in chiave filoaraba e sostenendoli con un apparato diplomatico puntuale e professionale.

È possibile giungere alla stessa considerazione analizzando la politica estera italiana della “Seconda Repubblica” nel Mediterraneo e nel Medio Oriente? Quali strategie sono state adottate in queste aree? In che modo verranno affrontate le nuove sfide?

  • L’Italia alla ricerca di una strategia: il multilateralismo del PEM

La fine della Guerra Fredda coincise con importanti dinamiche internazionali che sconvolsero l’area mediorientale e ridimensionarono il ruolo dell’Italia nella gestione delle tensioni nel Mediterraneo. Tra queste, la prima guerra del Golfo (1990-1991) pesò gravemente sulle spalle della nostra politica estera.

Dato l’intervento militare italiano con la coalizione anti-Saddam e anti-OLP, l’Italia perse il ruolo di intermediario tra arabi e israeliani, diminuendo progressivamente il dialogo con l’organizzazione di Arafat. Nel frattempo, lo scenario mediorientale passò sotto l’accentuata influenza degli Stati Uniti, i quali si erano avvicinati ai Paesi arabi che avevano sostenuto la coalizione anti-irachena durante la guerra: tra questi, Arabia Saudita, Egitto, Afghanistan e Kuwait.

La politica estera italiana si trovava dunque in una delicata fase di definizione delle priorità da seguire, consapevole che nel nuovo ed inedito assetto internazionale non sarebbe stata in grado di affermarsi come potenza. La soluzione adottata dal governo Andreotti per continuare ad esercitare un’influenza nel Mediterraneo fu dunque l’adozione di una linea multilaterale, basata sul pieno appoggio alla comunità europea nella strategia di cooperazione internazionale attraverso le strutture economiche. Questa linea guida venne perseguita anche dopo lo scandalo di Tangentopoli con il governo Ciampi (1993-1994), convinto che il rafforzamento del sistema internazionale tramite il multilateralismo avrebbe obbligato l’Italia a stabilizzare il proprio assetto istituzionale interno.

In questo contesto si inserisce il Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), un progetto nato il 28 novembre del 1995 a Barcellona grazie alla firma degli stati membri dell’Unione europea e di dieci stati affacciati sul Mediterraneo. Si trattava di un programma ambizioso e multifunzionale avente come obiettivi pace e stabilità, sviluppo economico e avvicinamento culturale. Nella sua applicazione la PEM diede vita ad importanti organi e progetti, quali l’Assemblea parlamentaria euro-mediterranea ed il fondo di aiuti europei MEDA. Ciò nonostante, il partenariato mise in luce le difficoltà organizzative dell’Unione, che influirono negativamente sul risultato finale. Tra i grandi ostacoli fronteggiati dalla PEM ritroviamo l’assenza di fiducia degli europei nei confronti dei partner mediterranei, la reticenza degli stati membri del nord Europa nel fornire aiuti economici a paesi della sponda sud del Mediterraneo e l’inevitabile influenza del conflitto israelo-palestinese sulla cooperazione tra i Paesi arabi.

La fragilità dell’Unione e della politica estera italiana si manifestarono ulteriormente nella gestione della guerra nella penisola balcanica che portò alla disgregazione della Jugoslavia. L’Europa e l’Italia si dimostrarono impreparate ad impegnarsi in un conflitto così cruento e geograficamente vicino, dando invece la possibilità agli Stati Uniti e alla NATO di dettare le regole del gioco nei Balcani.

Dunque l’Italia, esclusa dalla zona mediterranea dalla Guerra del Golfo, si ritrovò tradita dai progetti multilaterali nei quali aveva riposto grande fiducia. Nonostante alcuni risultati importanti, infatti, l’Unione europea (allora come oggi) aveva difficoltà nell’imporsi sul piano internazionale a causa della divisione tra i paesi membri riguardo le priorità strategiche. Una situazione critica che venne aggravata dall’entrata nel nuovo millennio.

  • Il terrorismo e la nuova attenzione verso il Medio Oriente

Tra i momenti di maggiore attivismo della politica estera italiana in ambito mediorientale ritroviamo quello successivo agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, periodo che coincise con gli anni del governo Berlusconi. La decisione dell’amministrazione Bush di intervenire militarmente in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003) influenzò la strategia italiana in Medio Oriente, la quale risultò in una netta rottura con il multilateralismo europeo rivolto alla cooperazione internazionale e allo sviluppo economico.

Vista l’imprevedibile minaccia internazionale, l’Italia decise di appoggiare Washington inviando 4.200 uomini in Afghanistan all’interno della missione della NATO International Security Assistance Force per combattere i talebani. Ad oggi, 760 soldati italiani sono ancora impegnati in Afghanistan nell’operazione NATO Resolute Support, un numero più elevato rispetto alla media dei Paese dell’Unione europea.

La presenza italiana in Medio Oriente venne poi intensificata nel 2003 con l’operazione Antica Babilonia in Iraq: 3.000 italiani vennero inviati a combattere con la coalizione NATO appoggiata dall’ONU contro il dittatore Saddam Hussein. Ad oggi, il contingente italiano impegnato in Iraq conta 1.000 uomini ed è il secondo più numeroso dopo quello degli Stati Uniti. Le attività svolte sono coordinate dalla missione internazionale Inhert Resolve sotto bandiera NATO per addestrare le forze di sicurezza irachene nel Kurdistan.

Oltre al multilateralismo militare in ambito mediorientale, il governo Berlusconi adottò una strategia bilaterale in politica estera per mantenere buoni rapporti con alcuni attori mediterranei, al fine di ottenere benefici economici e salvaguardare la sicurezza nazionale. Da un lato, il primo ministro ruppe definitivamente lo storico rapporto di dialogo tra Italia-OLP, avvicinandosi alle autorità israeliane, in linea con la politica estera di Washington. Il premier italiano si definì amico del Premier Sharon, palesò il desiderio di far entrare Israele all’interno dell’Unione europea e moltiplicò i viaggi a Tel Aviv. Al contempo, tuttavia, Silvio Berlusconi si avvicinò a leader arabi come il presidente egiziano Mubarak ed il presidente libico Gheddafi. Con entrambi i Paesi vennero intensificati gli scambi economici e gli accordi dell’ENI relativi al comparto dell’energia e con la Libia fu firmato nel 2008 un accordo che oltre alla collaborazione economica impegnava l’Italia a non minacciare Tripoli nell’eventualità di una crisi internazionale.

Dal punto di vista europeo, i primi anni duemila furono caratterizzati dal lieve rilancio della PEM tramite la proposta francese dell’Unione per il Mediterraneo (UPM), nell’ambito della Politica Europea di Vicinato. L’Unione rappresenta un’organizzazione comprendente i governi di 43 Paesi tra cui i membri dell’UE e quelli affacciati sul Mediterraneo per promuovere la cooperazione ed il dialogo. Un progetto che venne appoggiato dal governo Prodi nel 2006 e che dimostrò l’impegno italiano a rafforzare forme di cooperazione pacifiche oltre all’impegno militare in Medio Oriente.

La politica estera italiana dell’inizio del nuovo decennio fu dunque segnata da una duplice spinta: multilateralismo e bilateralismo vennero utilizzati per fronteggiare la nuova minaccia internazionale del terrorismo e per contribuire al rafforzamento dei rapporti commerciali. In generale, mentre al Medio Oriente venne riservata una strategia previlegiata, il Mediterraneo venne messo da parte, abbandonato alle sue dinamiche interne.

  • Dalle Primavere Arabe ad oggi

L’entrata nel decennio successivo segnò nuovamente un cambiamento di rotta per la politica estera italiana ed europea.

Tra il 2010 e il 2011, il Nordafrica ed il Medio Oriente furono caratterizzati dal fenomeno politico e sociale delle Primavere Arabe, manifestazioni di scontento nei confronti dei regimi politici autoritari che governavano questi Paesi da numerosi anni. L’Unione Europea rispose modificando la propria direzione sul piano estero: il sostegno ai regimi arabi mutò in un appoggio alle proteste che invocavano la loro modernizzazione. Un’evoluzione rigida, seguita da un maggiore interventismo degli stati membri dell’Unione nelle operazioni miranti a sradicare i regimi politici mediterranei. L’Italia, ad esempio, sospese il trattato di collaborazione con la Libia, affiancando Francia e Gran Bretagna in un’operazione NATO per rimuovere il capo politico-militare Gheddafi al potere dal 1969.

Nonostante il vento di cambiamento e l’energia dimostrata dalle Primavere Arabe, la situazione politica dell’area Nordafricana non fu seguita da concrete modernizzazioni o reali cambiamenti istituzionali. L’intervento di attori internazionali, poi, non contribuì alla stabilizzazione politica di quest’area, dimostrando l’assenza di visione strategica delle operazioni NATO e l’inesistenza della politica estera europea. In Siria, i movimenti di opposizione al regime di Assad si declinarono in una guerra civile tuttora in corso, mentre l’uccisone di Gheddafi nell’operazione NATO destabilizzò il fragile equilibrio libico, che si sgretolò nel 2014 con lo scoppio di una nuova guerra civile.

Il Mediterraneo ed il Medio Oriente rappresentano oggi scenari complessi che mettono costantemente alla prova la politica estera italiana, la quale deve trovare un equilibrio tra le decisioni comunitarie dell’Unione e le necessità nazionali. Proprio per questo motivo, la strategia italiana mantiene la dicotomia tra multilateralismo e bilateralismo che la contraddistingue.

In generale, la politica estera italiana ha intensificato le relazioni commerciali con gli stati del Nordafrica: l’Italia è infatti al primo posto nella partnership delle esportazioni algerine e libiche ed al secondo posto in quelle egiziane e tunisine. Una collaborazione economica che negli ultimi anni si è estesa anche all’area del Golfo Persico verso cui l’Italia esporta oltre l’85% delle proprie armi. Allo stesso tempo, la strategia bilaterale è stata adottata anche per gestire il flusso migratorio verso l’Europa, il quale è aumentato in seguito alle destabilizzazioni dell’area generate dalle Primavere Arabe. Tra questi, il Memorandum Italo-Libico firmato nel 2017 e rinnovato nel 2020, mirante a contrastare l’immigrazione clandestina e favorire sicurezza per entrambi gli stati, ma oggetto di critiche da parte di associazioni e ONG di non rispettare i diritti umani dei migranti, detenuti in campi profughi in condizioni disumane.

Rispetto alla cooperazione multilaterale in Medio Oriente, l’Italia sta gradualmente diminuendo il proprio impegno in Afghanistan e Iraq con le missioni NATO. Ciò nonostante l’impegno in Libano con la missione UNIFIL è stato rinnovato per garantire continuità con il passato e mantenere una connessione con il Mediterraneo orientale, un’area interessante per le risorse energetiche e le nuove prospettive economiche.

Dunque, la politica estera italiana degli ultimi anni si è orientata verso il Mare Nostrum, area geografica teatro di un fenomeno migratorio che necessita una gestione degna ed immediata. Il crescente interesse è dimostrato anche dagli investimenti e dai rapporti commerciali, incrementati e rafforzati tramite accordi bilaterali. Tuttavia, bisogna domandarsi se l’attuale interesse italiano nel Mediterraneo sia coerente con norme giuridiche e valori etici riguardanti la difesa dei diritti umani.  Il fenomeno dell’immigrazione continua ad essere gestito in maniera laconica tanto a livello nazionale quanto a livello europeo; le istituzioni comunitarie ed italiane adottano provvedimenti egoistici, a volte dimenticandosi che i protagonisti degli esodi sono essere umani che scappano da situazioni tragiche nei confronti delle quali sia italiani che europei hanno una minima dose di responsabilità. Inoltre, continuano le esportazioni di armi italiane verso i Paesi mediorientali e mediterranei i cui regimi violano i diritti umani, o sono coinvolti in guerre; tra i più importanti partner commerciali ritroviamo ad esempio la Turchia, gli Emirati Arabi e l’Egitto. Una collaborazione economica che si scontra con la legge italiana 185 del 9 luglio 1990, la quale vieta l’esportazione di armi verso Paesi in conflitto (a meno che non siano stati aggrediti) ed il cui governo non rispetti i diritti fondamentali della persona.

Giunti all’inizio di un nuovo decennio, la politica estera italiana si trova nuovamente alle prese con sfide nell’area mediterranea e mediorientale. Nuove direzioni e nuove dinamiche andranno coordinate ed i risultati avranno ricadute importanti sulla vita di tutti i cittadini. Una cosa è certa: il personale politico si trova davanti ad un bivio. Da un lato, ha la possibilità di contribuire alla creazione di un bacino di unione tra popoli provenienti da tre continenti diversi; dall’altro può far prevalere i propri interessi nazionali accentuando le divisioni già presenti e non cogliendo le opportunità offerte da una possibile stabilizzazione e cooperazione.

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