Il ritorno del terrorismo in Europa: una trattazione socioanalitica
DI SARA BARONE
02/12/2020
Parigi, Nizza e Vienna: le recenti cronache giornalistiche hanno messo in luce il ritorno del metodo del terrore sul suolo europeo. È necessaria, pertanto, una maggiore analisi e comprensione dei fatti che elimini le etichette e faccia luce su una delle maggiori questioni di sicurezza internazionale.
Gli ultimi fatti
25 settembre, 16 ottobre e 29 ottobre. Non sono date casuali, ma ricordano gli ultimissimi avvenimenti che hanno sconvolto la sicurezza interna francese. Tre diversi attacchi a Parigi, Conflans (vicino la capitale francese) e Nizza, tutti quanti accomunati dall’utilizzo del metodo del terrore, prontamente denunciato dal Presidente Macron, il quale ha dichiarato necessaria una revisione degli accordi sullo spazio Schengen e sulla sicurezza del Paese.
25 settembre
L’attacco di settembre ha colpito la Francia nei pressi della vecchia sede di Charlie Hebdo, il giornale satirico vittima, nel 2015, di un attacco terroristico rivendicato da Al Qaeda che uccise 12 persone e ne ferì una decina. La scelta del luogo, per ovvie ragioni strategiche, è legata alla pubblicazione di nuove vignette satiriche rappresentanti Maometto, «l'uomo che tutti i musulmani riconoscono loro profeta». Zaheer Hassan Mehmood è il nome dell’attentatore, di origini pakistane, che con machete alla mano ha seminato il terrore nella capitale parigina. Il procuratore nazionale antiterrorismo Jean Francois Ricard, grazie alle indagini condotte, ha sottolineato che Mehmood era entrato nel Paese nel 2018 con un’identità falsa e che l’obiettivo era colpire alcuni dipendenti del periodico (come dimostra anche un video girato dall’uomo prima dell’attentato), ignaro che la sede fosse stata spostata per ragioni di sicurezza.
16 ottobre
Davanti alla scuola media Bois d’Aulne di Conflans Sainte Honorine si è presentato Abdullakh Anzorov, un diciottenne ceceno affine alla rete jihadista francese, con l’obiettivo di uccidere Samuel Paty, un professore di storia e geografia “reo” di aver mostrato ai suoi alunni vignette e immagini legate a Maometto e al mondo dell’Islam. L’insegnante è stato decapitato dalla violenza del giovane all’uscita della scuola. Complici il padre di un’allieva, Chrina, che aveva messo in rete video intimidatori incitando alla vendetta contro Paty, e alcuni studenti che avevano indicato al terrorista chi fosse il professore.
29 ottobre
Nella cattedrale Notre Dame nel centro di Nizza, in Avenue Jean-Medecin, tre persone sono state uccise da un giovanissimo ragazzo di origini tunisine, giunto recentemente in Francia passando dal territorio italiano. Secondo Cristian Estrosi, sindaco della città, si tratta di un attacco terroristico di matrice «islamo-fascista». A Lione, Avignone e Gedda, sede del consolato francese in Arabia Saudita, altri presunte situazioni di pericolosità sono state sventate dalle forze armate.
Non soltanto la Francia
Anche l’Austria è stata oggetto il 2 novembre 2020 di un attacco terroristico che ha ucciso 4 persone e ne ha ferite circa 20. L’attentato è esploso vicino ad una sinagoga di Vienna, poi divampato anche in altri punti della città, seminando terrore e mettendo in fuga centinaia di persone. Secondo il ministro dell'Interno Karl Nehammer, l’ipotesi più accreditata è la matrice jihadista dell’attentato, opzione poi avvalorata e confermata dalla rivendicazione di Isis, come riferisce Site, l’organizzazione che monitora l’attività online di gruppi jihadisti. La rivendicazione è giunta con una dichiarazione ufficiale diffusa tramite i mezzi di propaganda dell’Isis, in cui si dice che l’attacco è opera di un “soldato del califfato”.
Ciò che hanno in comune questi esempi tratti dalla più recente cronaca giornalistica non è la matrice jihadista degli attentati (comune, sì, ma non univoca!), quanto il metodo, gli strumenti utilizzati per affermare con forza e violenza un certo obiettivo politico o ideologico. Sono le cosiddette “armi del terrore”: la violenza gratuita e non mirata (vedasi l’attentato del Bataclan del 2015), la condivisione dell’iconografia del terrore (come nel caso Paty) e la diffusione di minacce, intimidazioni per colpire psicologicamente cittadini e Stati. Il terrorismo non è un fenomeno. Il terrorismo è un metodo. E il terrorismo non è religioso, non è islamista. Il terrorismo è politico, culturale, economico, ideologico e anche di natura religiosa, specie fondamentalista ed estremista, nelle sue più diverse e ampie ramificazioni.
Per una definizione e origine del terrorismo
“Il terrorista vuole terrorizzare. Talvolta per pura autogratificazione, più spesso in omaggio a una ideologia o presunta tale, sempre per affermare il proprio potere, la fragilità delle sue vittime e dei suoi nemici. È un metodo molto efficace perché fa leva su un sentimento umano, troppo umano: la paura. Un’emozione connaturata a ciascuno di noi, che non può essere controllata se non con farmaci stordenti. Sicché i terroristi vanno e vengono, ma il terrorismo come metodo era, è e sempre sarà, in variabile misura e diversa geografia, con ognuno, dovunque.”
(Lucio Caracciolo, prefazione de “Il metodo del terrore”, Rosario Aitala, Editori Laterza, 2018).
La citazione sopra riportata, oltre a fornire importanti spunti sulla definizione e sulle implicazioni del termine “terrorismo”, mette subito in chiaro come il “terrorismo” non sia un fenomeno che prospetta davanti a sé una fine, quanto un comprovato metodo, in uso da secoli, per imporre una certa ideologia o punire una certa e presunta diversità. Il GTI –
Global Terrorism Index – definisce e individua tre condizioni necessarie per descrivere un attentato come terroristico: deve essere intenzionale, ossia il risultato di un attento calcolo da parte di chi lo compie con obiettivi politici, culturali e/o religiosi; deve avere in sé un certo carattere di violenza fisica e psicologica e l’attore dell’attacco deve essere un’autorità sub-statale, ossia non rappresentare legalmente uno Stato nella sua interezza.
Riscoprire le radici e le origini di questo metodo è assai complesso: non si tratta di un popolo, di una nazione o di una determinata circostanza, ma fin dai primi giochi di potere – e di contro potere – il metodo del terrore ha accompagnato e segnato la nostra civiltà. Alcuni studiosi, storici o filologi rintracciano uno dei più antichi esempi di terrorismo nell’era della Roma Imperiale. Era il 64 d.C, Nerone regnava impavido nella Urbe, quando un maestoso e distruttivo incendio divampò a Roma, bruciò per sei giorni e rase al suolo mezza città. Subito dopo i primi soccorsi, l’imperatore romano – di cui Tacito ci racconta fosse sospettato di aver appiccato le fiamme (forte an dolo principis incertum – Annales XV) – diede inizio ad una fortissima caccia alle streghe, di cui i protagonisti erano i cristiani residenti nell’Impero. Le più oscene pene furono riservate a questa fetta di popolazione, dilaniata e terrorizzata per coprire e mascherare le nefandezze dell’imperatore. Paura nel popolo, sevizie nei confronti di innumerevoli innocenti e affermazione di un potere forte e incontrastabile: nient’altro che le caratteristiche di un antico esempio di applicazione del terrorismo metodologico. Un’altra possibile origine o meglio sviluppo, facilmente osservabile dalla comune radice etimologica, risiede nel cosiddetto “terrore giacobino”, una fase di poco successiva alla rivoluzione francese, precisamente del 1793, che vide il predominio dei membri del Comitato di salute pubblica - tra cui spiccava il nome di Robespierre - e l’obiettivo di eliminare definitivamente gli esponenti tanto dell’estrema sinistra dell’epoca che della destra repubblicana. Questi due primi esempi scindono già il binomio terrorismo-religione che imperversa nell’opinione pubblica da decenni.
Il metodo del terrore tra età moderna e contemporanea
Continuando, poi, con una breve trattazione storica, giungiamo al XIX secolo. “Secondo William Wager Cooper, il terrorismo moderno sarebbe sorto nell’Ottocento con l’apparizione di movimenti quali Narodnaja Volja in Russia, l’Irish Republican Brotherhood o la Federazione rivoluzionaria armena. Robert Kaplan vi aggiunge alcuni movimenti antiottomani dei Balcani, come l’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone. Ma non dobbiamo dimenticare altre correnti nazionaliste, come i democratici italiani e ungheresi, attivi soprattutto dopo il fallimento delle insurrezioni del 1848, o i democratici tedeschi, tra cui Karl Heinzen, il teorico degli attentati suicidi, o la Mano nera serba e la Giovane Bosnia, queste ultime alleate nell’organizzazione dell’attentato di Sarajevo nel giugno del 1914. Il terrorismo era nel frattempo diventato anche l’arma prediletta di altre correnti politiche: i populisti russi, vari movimenti nichilisti e anarchici (gli unici estranei al nazionalismo) e il Ku Klux Klan, nato dopo la sconfitta dei confederati negli Stati Uniti”. Così riporta M. Graziano nel volume “Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo”.
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX il metodo del terrore divenne quasi del tutto appannaggio delle correnti politiche di estrema destra e sinistra, il cosiddetto terrore rosso (di ispirazione comunista) e terrorismo nero (sul modello neofascista e nazional rivoluzionaria). Consideriamo, ad esempio, gli Anni di Piombo in Italia (fine anni ’60, inizio anni ’80) che videro un aumento esponenziale di violenze di piazza, lotta armata e terrorismo politico, culminando nel 1978 con il sequestro Moro, presidente della DC, per opera delle Brigate Rosse.
Negli anni ’80, poi, anche le zone medio-orientali iniziarono un lungo periodo di disordini interni che in un modo o nell’altro causarono l’entrata in scena di nuovi attori geopolitici, Al-Qaeda primo fra tutti. L’organizzazione terroristica fondata da Osama Bin Laden e al Zawahiri fu la responsabile di una fortissima ondata di esecuzioni, attentati,
sommosse negli USA e in Europa (vedasi 11/09, Pentagono, Madrid e Londra) che portarono alla luce una nuova forma di terrorismo, mossa da ragioni ideologiche, religiose, culturali (la “lotta all’Occidente”). Gli anni che seguirono, con la “lotta al terrore” di George Bush in primo piano, posero l’accento su tutte quelle dinamiche interne agli Stati medio
orientali (politica, crisi economiche e sociali) che permisero la nascita di Al-Qaeda prima e dell’Isis dopo, la loro diffusione all’interno anche di network occidentali e la loro esponenziale crescita, con l’adattamento ai nuovi mezzi di comunicazione (specie Isis). Questi anni furono coronati dall’impegno, globalmente condiviso, di integrare legislazioni contro il terrorismo, in ogni sua forma, e formulare politiche sempre più sofisticate di sicurezza interna (dalla polizia federale all’Europol, finendo con le intelligence nazionali). Recenti sono, ad esempio, le misure messe in atto dal Presidente francese Macron, tra cui anche la richiesta di una revisione del trattato di Schengen dell’Unione Europea.
Le frontiere del metodo del terrore, però, non si arrestano qui. Non si minimizzano a modelli politici o religiosi, ma aumentano e si rinnovano con la società stessa, nelle forme ad esempio più contemporanee di cyberterrorismo o bioterrorismo. L’evolversi strutturale di queste dinamiche necessita di una risposta sempre più pronta e decisa, nonché di un’opinione pubblica informata e lontana dalla strumentalizzazione del fenomeno.