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Trade War USA-Cina: dove siamo e dove andiamo

DI ANDREA SCOTTO

13/01/2021

Il 20 gennaio 2017, Donald Trump diventava Presidente degli Stati Uniti. Subito fece scalpore su i principali canali televisivi del mondo per le sue affermazioni shock. Secondo il neopresidente, il problema numero uno degli Stati Uniti era la Cina e bisognava agire subito.

Nel 2015 la Repubblica Popolare Cinese aveva lanciato il programma “Made in China 2025” (MIC 2525), un piano decennale sulle priorità industriali del Paese. Un progetto di tale portata, unito ad iniziative come la Nuova Via della Seta (One Belt Road) e l’Asian Infrastructure Investment Bank, ha allarmato i policymakersamericani.

Da un punto di vista economico avere una bilancia commerciale netta ( ) negativa, non è necessariamente grave; lo è ancor meno avere una bilancia commerciale bilaterale negativa. Il problema emerso è che, in seguito alla riduzione delle tensioni con la Russia e all’attenuarsi del conflitto contro l’ISIS, il nemico numero uno degli Stati Uniti era evidentemente la Cina, ed essere in deficit con un Paese con cui si hanno relazioni conflittuali è strategicamente problematico.


Non solo commercio

I cambiamenti sono avvenuti su più piani:

  • Commercio:

I dazi statunitensi sulle importazioni dalla Cina erano al 19,3% a febbraio 2020. Queste tariffe sono più di sei volte superiori rispetto a prima che iniziasse la guerra commerciale nel 2018.

  • Investimenti:

È stata vietata la partecipazione di aziende e persone di nazionalità cinese agli investimenti nelle start-up americane.

  • Dati e Privacy:

Il discorso adesso non è se i dati vengono raccolti con o senza autorizzazione, ma chi li raccoglie (e come li gestisce). Il conflitto maggiore è avvenuto sulla compagnia cinese Huawei, gigante delle telecomunicazioni che ha rapporti diretti con il governo Cinese.

  • Persone, istruzione, tecnologia:

La policy dell'amministrazione Trump è stata quella di ridurre la durata dei visti per motivi di studio - finora concessi per 5 anni - a solo un anno. Il piano si chiama “Student visa integrity: protecting educational opportunity and national security” ed è stato adottato in risposta alla strategia cinese di far studiare i loro cittadini negli Stati Uniti per poi farli rientrare in Cina, trasferendo le conoscenze alle aziende cinesi. Infatti, i visti di un anno vengono rilasciati ai ricercatori di aviazione, robotica, ingegneria meccanica e agli studenti iscritti nei programmi di specializzazione in matematica, scienze, tecnologia e medicina.


Chi paga il prezzo della guerra?

I fornitori cinesi si fanno carico di parte del costo delle tariffe statunitensi in modo indiretto. Gli esportatori cinesi, a volte, ad esempio, sono costretti a offrire agli importatori statunitensi uno sconto per sostenere i costi di dazi statunitensi più elevati. Le aziende cinesi potrebbero anche perdere affari se gli importatori statunitensi trovassero un'altra fonte senza dazi per le stesse merci al di fuori della Cina.

Ma gli importatori con sede negli Stati Uniti stanno gestendo il carico fiscale più elevato con provvedimenti che danneggiano le aziende e i clienti statunitensi più della Cina.

Tali strategie includono: accettare margini di profitto inferiori; tagliare i costi, inclusi salari e posti di lavoro per i lavoratori statunitensi; rinviare eventuali aumenti salariali potenziali, nonché trasferire i costi tariffari attraverso prezzi più elevati per i consumatori o le aziende statunitensi.
La maggior parte degli importatori utilizza una combinazione di tali tattiche per distribuire i costi più elevati tra fornitori e consumatori o acquirenti.
Le aziende americane più colpite sono quelle nel settore tecnologico (Apple, Microsoft) e quelle che utilizzano acciaio nella catena di produzione (Caterpillar, Deere & Company).


Gli effetti a lungo termine sull’economia americana

È altamente probabile che il deficit commerciale degli Stati Uniti rimanga, o quantomeno non cambi significativamente. Quello che cambia, però, (ed è significativo eccome) è la bilancia commerciale bilaterale con la Cina: il deficit nei confronti della Repubblica Popolare Cinese si riduce, ma aumenta quello verso altri Paesi, preferibilmente alleati degli Stati Uniti. Questo cambiamento, da un punto di vista di strategia politica e militare, è altamente rilevante.
In tutte le guerre commerciali, una diminuzione dell’apertura (“effective openness”), per quanto temporanea, comporta uno stock di capitale privato permanentemente più basso.


La supremazia Cinese è inevitabile

L’EIU (Economist Intelligence Unit) posiziona nel 2026 l’annunciato sorpasso della Cina sugli Stati Uniti (PIL nominale in termini di US$).

Il superamento degli Stati Uniti da parte della Cina, almeno in termini economici, sembra ormai inevitabile. L’obiettivo della strategia del governo americano non era certo fermare la storia, ma rallentare questo recupero vertiginoso della Cina.


Biden cambierà strategia?

Gli Stati Uniti hanno usato la loro influenza politica sugli alleati per cercare di coinvolgerli nel contrasto all’espansione dell’economia cinese. Il resto del mondo però non li ha seguiti.
In qualità di Presidente Eletto, Joe Biden ha dichiarato non soltanto che cercherà di evitare la “Nuova Guerra Fredda”, ma anche che cercherà di tenere sotto controllo le ambizioni espansionistiche della Cina, in Asia e nel resto del Mondo.

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